La parola “marchio”, tradizionalmente inteso come il segno distintivo di una impresa o di uno studio professionale, rimanda ormai a qualcosa di obsoleto.
Il marchio oggi, infatti, non identifica più un’azienda o un prodotto, ma evoca una vera e propria esperienza.
Nel mondo delle imprese commerciali, per esempio, Apple, Nike, Starbucks, non vendono solo prodotti ma propongono, attraverso di essi, uno stile di vita.
Il marchio dunque diventa brand, ossia veicola, oltre l’identità, una serie di valori che il pubblico accoglie come familiari e in cui si riconosce.
Oggi anche nel mondo dei servizi professionali e, tra questi, dei servizi legali del diritto (per anni imbrigliati nei divieti deontologici dell’utilizzo di nomi non collegati al titolare di studio) si sta affermando la consapevolezza della necessità di affidare a consulenti strategici lo studio del posizionamento e delle strategie di sviluppo della propria immagine professionale e della propria attività, anche tramite la rappresentazione visiva di quella realtà composita di missione-visione-valori che li rappresenta.
In questo senso si muove e opera CLAMOR – Comunicare competenza legale (www.claudiamorelli.it), in rete con Qid e altri esperti della comunicazione e della web strategy.
La dimensione digitale, d’altra parte, ha reso il visual e l’immagine un ulteriore fattore strategico di riconoscibilità, così come ha impresso una evoluzione nel concetto di comunicazione in ambito legale (che dalle media relations oggi abbraccia tanti altri canali e linguaggi) che dovranno però sempre tenere in considerazione i criteri di dignità, decoro, trasparenza ai quali si informa la professione dell’avvocato.